DOC DICA 33

Malassorbimento e inibitori di pompa protonica

malassorbimento e inibitori di pompa protonica

Inibitori di pompa protonica e malassorbimento: carenze nutrizionali e rischi associati

Gli inibitori di pompa protonica (IPP o PPI) rappresentano una classe di farmaci ampiamente utilizzati per il trattamento di condizioni gastrointestinali come l'ulcera peptica, il reflusso gastroesofageo e per la prevenzione del danno gastrico indotto dai farmaci antiinfiammatori non steroidei. Sebbene questi farmaci abbiano rivoluzionato la cura di diverse patologie gastriche, il loro uso prolungato può comportare significative conseguenze nutrizionali dovute all'alterazione dell'ambiente acido dello stomaco, essenziale per l'assorbimento di numerosi nutrienti. L'inibizione prolungata della secrezione acida gastrica, infatti, può interferire con l'assimilazione di vitamine e minerali fondamentali, portando a carenze nutrizionali con importanti ripercussioni sulla salute.

Meccanismo d'azione e influenza sull'assorbimento dei nutrienti

Gli inibitori di pompa protonica sono farmaci che agiscono bloccando la proteina pompa H⁺/K⁺ ATPasi, presente sulle cellule parietali dello stomaco, responsabile della produzione di acido cloridrico. Questa inibizione riduce significativamente l'acidità gastrica, creando un ambiente meno favorevole all'assorbimento di numerosi nutrienti che richiedono un pH acido per essere adeguatamente processati e assorbiti.

L'acidità gastrica svolge un ruolo cruciale nei processi digestivi, facilitando la scissione delle proteine alimentari e la solubilizzazione di diversi nutrienti. Quando l'ambiente acido viene alterato per periodi prolungati, come accade con l'uso cronico di IPP, si possono verificare diversi fenomeni di malassorbimento. La riduzione dell'acidità gastrica può compromettere il rilascio di vitamine dalle proteine alimentari, alterare l'attività di enzimi digestivi, modificare la solubilità di alcuni minerali e interferire con la biodisponibilità di nutrienti essenziali.

Carenza di vitamina B12

Una delle carenze nutrizionali più documentate associata all'uso di IPP riguarda la vitamina B12. Questa vitamina viene normalmente ingerita sotto forma di complesso proteico; l'acidità gastrica condiziona la liberazione della vitamina permettendo il legame con la proteina R. Nel duodeno il complesso viene scisso dagli enzimi pancreatici e la vitamina libera si lega al fattore intrinseco per essere poi assorbita nell'intestino tenue.

Un aumento del pH intragastrico indotto dai PPI può interferire con questo processo, riducendo l'assorbimento della vitamina B12. Studi clinici hanno dimostrato che i pazienti che hanno ricevuto per un periodo superiore a 2 anni un trattamento con IPP presentavano un aumento del rischio di carenza di vitamina B12, con un rischio apparentemente più elevato nelle donne e nei pazienti più giovani. Negli utilizzatori cronici di PPI, la carenza di vitamina B12 è risultata essere fino al 65% più comune, con un grado direttamente correlato al dosaggio di questi farmaci.

Carenza di ferro

Un'altra importante carenza nutrizionale associata all'uso prolungato di IPP è quella del ferro. Il ferro viene introdotto con la dieta principalmente sotto forma di sale ferrico (Fe³⁺), che è poco idrosolubile e necessita, per l'assorbimento, di essere ridotto a forma ferrosa (Fe²⁺) idrosolubile. Questa reazione, e il conseguente assorbimento a livello duodenale, vengono favoriti da un adeguato ambiente acido intragastrico.

L'ipocloridria indotta dai PPI può quindi causare un'alterazione dell'assorbimento del ferro, portando a sideropenia e potenzialmente ad anemia microcitica. Uno studio pubblicato su Annals of Internal Medicine ha confermato questo rischio, evidenziando che l'uso prolungato di IPP per almeno un anno era associato a un rischio aumentato di carenza di ferro rispetto sia alla terapia intermittente sia all'assenza di terapia con questi farmaci.

Alterazioni del metabolismo del calcio e rischio di fratture

L'uso prolungato di IPP può anche influenzare negativamente l'assorbimento del calcio. Una significativa ipocloridria potrebbe teoricamente causare un malassorbimento di calcio, soprattutto negli anziani. In un trial clinico randomizzato è stata dimostrata una significativa riduzione dell'assorbimento di carbonato di calcio nelle donne di età superiore ai 65 anni in trattamento con omeprazolo.

Gli effetti dei PPI sul metabolismo osseo non riguardano solo il ridotto assorbimento del calcio. La prolungata inibizione della secrezione acida gastrica provoca infatti un'ipergastrinemia che comporta un incremento della produzione di paratormone, il quale a sua volta stimola il riassorbimento osseo del calcio. Diverse metanalisi e revisioni sistematiche hanno dimostrato un'associazione tra impiego recente e cronico di PPI e il rischio di fratture, sia negli uomini che nelle donne, un'associazione mai osservata con altri antiacidi come la ranitidina.

Deficit di magnesio

Il trattamento prolungato con PPI, soprattutto in chi li assume da oltre 5 anni, può influenzare anche l'assorbimento di magnesio. L'ipomagnesemia indotta da IPP è stata riconosciuta come un potenziale effetto avverso al punto che la FDA raccomanda a tutti i cardiopatici ad alto rischio, che richiedano un trattamento prolungato con PPI, di controllare periodicamente la magnesemia.

I risultati sull'associazione tra l'uso di PPI e l'ipomagnesemia sono contrastanti, ma è opportuno essere consapevoli di questo potenziale disturbo elettrolitico, particolarmente nelle popolazioni a rischio. Il monitoraggio periodico delle concentrazioni sieriche di magnesio negli utilizzatori di PPI a lungo termine può essere suggerito, principalmente in coloro che lamentano sintomi potenzialmente correlati a bassi livelli di magnesio e sono trattati con farmaci che possono indurre ipomagnesemia (come gentamicina, inibitori della calcineurina, diuretici).

Rischi associati alle carenze nutrizionali

Le carenze nutrizionali associate all'uso prolungato di IPP possono comportare rischi significativi per la salute. La carenza di vitamina B12, se non trattata, può portare a danni neurologici, anemia, demenza e altre complicazioni talvolta irreversibili. Può inoltre manifestarsi con alterazioni neurologiche, anemia perniciosa e aumento dei livelli di omocisteina, che incrementa il rischio cardiovascolare.

La carenza di ferro può portare a sviluppo di anemia microcitica, con conseguente affaticamento, ridotta capacità di esercizio fisico e impatto sulla qualità della vita. Il ridotto assorbimento di calcio e le alterazioni del metabolismo osseo possono aumentare significativamente il rischio di osteoporosi e fratture, particolarmente preoccupante nelle donne in post-menopausa e negli anziani.

L'ipomagnesemia grave, infine, può causare a sua volta una serie di problemi, dalla tetania, alle convulsioni, alle aritmie cardiache potenzialmente pericolose. Questi rischi sono particolarmente rilevanti nei pazienti con comorbilità e in quelli che assumono altri farmaci che possono interferire con l'equilibrio elettrolitico.

Considerazioni cliniche e raccomandazioni

Data l'ampia diffusione degli IPP e il loro frequente utilizzo a lungo termine, è importante considerare il potenziale rischio di carenze nutrizionali in pazienti selezionati. Tuttavia, va sottolineato che non tutti i pazienti in terapia con IPP sviluppano malassorbimento e carenze nutrizionali.

Il monitoraggio periodico dei livelli di vitamina B12 è giustificato soprattutto negli anziani fragili che assumono terapia con IPP a lungo termine. Nei pazienti che devono assumere IPP per periodi prolungati, può essere considerata un'integrazione di vitamina B12, con 1000 mcg per via orale quotidianamente o per endovena tre volte a settimana nei casi più severi.

Per quanto riguarda il metabolismo del ferro, sebbene i dati siano limitati, è ragionevole considerare un monitoraggio periodico dei parametri marziali nei pazienti a rischio, come donne in età fertile o soggetti con anamnesi positiva per anemia da carenza di ferro.

Nei pazienti più anziani, in particolare nelle donne in post-menopausa, va valutata l'opportunità della terapia a lungo termine con IPP per un potenziale aumentato rischio di fratture in caso di trattamento ad alte dosi e per lunghi periodi. Potrebbe essere opportuno monitorare la densità minerale ossea e considerare supplementi di calcio e vitamina D in questi pazienti.

Conclusioni

Gli inibitori di pompa protonica sono farmaci estremamente efficaci nel trattamento di diverse patologie gastrointestinali, ma il loro utilizzo prolungato non è esente da rischi, tra cui il malassorbimento di importanti nutrienti. Le carenze nutrizionali più frequentemente associate all'uso a lungo termine di questi farmaci includono quelle di vitamina B12, ferro, calcio e magnesio, ciascuna con potenziali conseguenze cliniche significative.

È fondamentale che i medici prescrittori siano consapevoli di questi potenziali effetti avversi e valutino attentamente il rapporto rischio-beneficio della terapia con IPP, particolarmente negli anziani e nei pazienti che necessitano di trattamenti prolungati. La prescrizione di questi farmaci dovrebbe essere limitata alle indicazioni appropriate e per la durata strettamente necessaria. Nei pazienti che richiedono terapia a lungo termine, un monitoraggio periodico dello stato nutrizionale e degli elettroliti, eventualmente accompagnato da un'integrazione mirata di micronutrienti, può contribuire a prevenire o mitigare le conseguenze del malassorbimento indotto da IPP.

Infine, è importante ricordare che l'assunzione mirata di vitamina B12, ferro, calcio e magnesio nel quadro della medicina dei micronutrienti può prevenire la carenza di queste sostanze e i relativi sintomi nei pazienti che necessitano di terapia prolungata con inibitori di pompa protonica.

È importante sottolineare che queste informazioni non sostituiscono il consulto medico. Se assumete IPP e siete preoccupati per il rischio di malassorbimento, è fondamentale parlarne con il vostro medico per ricevere una valutazione personalizzata e un piano di follow-up adeguato.